"Forever" - installazione di biciclette-smbolo della Cina com'era |
“Questa domanda me la fanno in molti,
anche perché di solito non si può. Ma in questo caso sì, è
possibile fare foto”. Cortile di palazzo Strozzi, Firenze, un
sabato d'ottobre 2016: una quindicina di persone si assembrano
attorno a Miriam, conduttrice designata per la visita guidata
all'esposizione di Ai Wei Wei in corso nel palazzo; la prima, a
quanto pare, che utilizza appieno gli spazi dell'edificio, per
l'occasione sgombri di ogni tipo di arredo. La domanda sorge
spontanea in diversi, e il nulla osta che la ragazza dà a fotocamere
e smartphone dei visitatori smarca già questi ultimi – o almeno me
– verso l'impressione di una mostra che non è tale. O meglio: che
non di arte qui si tratta, o per lo meno non di quella con la A
maiuscola la cui fama è di solito proporzionale al divieto di
immortalarla quando esposta pubblicamente.
il serpente realizzato con gli zainetti degli studenti della scuola del Sichuan abbattuta dal terremoto del 2009 |
la riproduzione in marmo di una delle longarine della scuola del Sichuan piegate dal terremoto |
un'altra delle opere 'pensate' da AiWeiWei e realizzata da artigiani di fiducia |
Tre indizi fanno una prova, e di lì a
poco Miriam ce ne fornisce un altro in questa direzione: “Tranne
rare eccezioni, Ai Wei Wei non realizza personalmente le sue opere-
precisa - le concepisce, lasciandole poi eseguire a persone di sua
fiducia”. Già lo sospettavamo, osservando i circa cento zainetti
cuciti assieme in forma di serpente gigante, le casse in legno
pregiato che evocano le giovanissime vite perite nel terremoto del
Sichuan, le carte da parati con effigi di alpaca e videocamere di
sorveglianza; soprattutto, le 950 biciclette a marchio 'Forever'
incastrate e impilate una sull'altra. Sul momento, la conferma suona
già quasi come una condanna, che sembra pronta per esser conclamata
nella Strozzina. Il più basso dei piani espositivi alloggia infatti
centinaia di declinazioni dell'estetica-WeiWei in chiave social
networks: selfie in ogni dove, e infinite replice del gesto del
fucile fatto con la gamba. Tutto fuorché arte insomma: la storia del
suo autore appare notevole come esempio di vita travagliata,
coraggiosa, dissidente. Ma non propriamente tipica di un'artista.
O sì?
serie di selfie provenienti da tutto il mondo con il medesimo tema: il gesto del fucile |
una visitatrice cinese controlla sul suo smartphone la foto appena scattata all'opera sovrastante |
All'arte contemporanea si rinfaccia
spesso il suo essere commerciale, speculativa, il puntare ad altro
piuttosto che ad una genuina espressione creativa. Viceversa, in
genere l'espressività artistica dei secoli trascorsi è comunemente
più considerata arte 'vera' e spassionata. Se così fosse, allora il
messaggio artistico dovrebbe prevalere su tutto e diffondersi il più
possibile. Paradossalmente però, un Picasso o una Frida Khalo sono
tendenzialmente omessi alla libera riproduzione, mentre un AiWeiWei
si può tranquillamente fotografare e condividere, senza che nessuna
guida o sorvegliante venga a richiamarci.
Il secondo indizio ci portava a
squalificare AiWeiWei dal ruolo di artsta perchè non realizza in
proprio le opere, tranne poche eccezioni. Ma allora dovremmo
considerare artista solo il Giotto degli affreschi, quelli degli
Scrovegni o di Assisi, e non anche quello che disegna il campanile
del Duomo di Firenze lasciando ad altri l'onere di erigere i blocchi
di marmo uno sull'altro? E il Brunelleschi della cupola, come lo
consideriamo? O il Leonbattista Alberti di Santa Maria Novella?
Questioni da salotto o di lana
caprina, si potrà obiettare: tanto più che questa disquisizione ci
allontana dal vero succo di un'esposizione come quella di AiWeiWei.
Che ha provocato il ben poco democratico stato cinese puntando il
dito – e l'estro – contro la scelta di costruire scuole con
materiali scadenti franate sopra migliaia di bambini nel 2009 (it
sounds italian too, indeed..). Che ha volutamente – e
mediaticamente – scioccato i perbenisti italiani costellando la
rinascimentale facciata di palazzo Strozzi con i gommoni, ad evocare
l'infiltrazione dei profughi nel nostro benessere. E alla fine il
dubbio più forte è questo: vale la pena, questa mostra? Ha un senso
pagare tra i 4 e 12 euro (più altri 9, in caso di visita guidata)
per visitarla e 'sensibilizzarsi', quando quei 12 euro sono 5 volte
la somma che un richiedente asilo ha a disposizione ogni giorno,
durante il suo limbo in Italia?
la facciata di Palazzo Strozzi 'gommonata' da AiWeiWei |
Da un punto di vista economico e
pragmatico: no. Meglio devolverli direttamente a loro, trovando la
forma congrua.
Ma è vero anche che quello che ci sta
accadendo intorno non richiede solo risposte di cassa. Richiede anche
cambiamenti di pensiero. Perché probabilmente senza quelli la sola
'cassa', che sia diretta o tramite gli sms solidali, prima o poi
potrebbe non bastare. E allora anche l'arte, continua ad aver senso.
Anche quella d AiWeiWei: perchè anche quella è arte, no?
Uscendo da palazzo Strozzi, pochi passi
dopo ci troviamo di fronte Santa Maria del Fiore con il suo
campanile, quello di Giotto. E il dubbio ricompare.
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