sabato 15 ottobre 2016

Le bici di Aiweiwei, i migranti e il dilemma: cos'é arte?


"Forever" - installazione di biciclette-smbolo della Cina com'era


“Questa domanda me la fanno in molti, anche perché di solito non si può. Ma in questo caso sì, è possibile fare foto”. Cortile di palazzo Strozzi, Firenze, un sabato d'ottobre 2016: una quindicina di persone si assembrano attorno a Miriam, conduttrice designata per la visita guidata all'esposizione di Ai Wei Wei in corso nel palazzo; la prima, a quanto pare, che utilizza appieno gli spazi dell'edificio, per l'occasione sgombri di ogni tipo di arredo. La domanda sorge spontanea in diversi, e il nulla osta che la ragazza dà a fotocamere e smartphone dei visitatori smarca già questi ultimi – o almeno me – verso l'impressione di una mostra che non è tale. O meglio: che non di arte qui si tratta, o per lo meno non di quella con la A maiuscola la cui fama è di solito proporzionale al divieto di immortalarla quando esposta pubblicamente.

il serpente realizzato con gli zainetti degli studenti della scuola del Sichuan abbattuta dal terremoto del 2009

la riproduzione in marmo di una delle longarine della scuola del Sichuan piegate dal terremoto

un'altra delle opere 'pensate' da AiWeiWei e realizzata da artigiani di fiducia


Tre indizi fanno una prova, e di lì a poco Miriam ce ne fornisce un altro in questa direzione: “Tranne rare eccezioni, Ai Wei Wei non realizza personalmente le sue opere- precisa - le concepisce, lasciandole poi eseguire a persone di sua fiducia”. Già lo sospettavamo, osservando i circa cento zainetti cuciti assieme in forma di serpente gigante, le casse in legno pregiato che evocano le giovanissime vite perite nel terremoto del Sichuan, le carte da parati con effigi di alpaca e videocamere di sorveglianza; soprattutto, le 950 biciclette a marchio 'Forever' incastrate e impilate una sull'altra. Sul momento, la conferma suona già quasi come una condanna, che sembra pronta per esser conclamata nella Strozzina. Il più basso dei piani espositivi alloggia infatti centinaia di declinazioni dell'estetica-WeiWei in chiave social networks: selfie in ogni dove, e infinite replice del gesto del fucile fatto con la gamba. Tutto fuorché arte insomma: la storia del suo autore appare notevole come esempio di vita travagliata, coraggiosa, dissidente. Ma non propriamente tipica di un'artista.

O sì?

serie di selfie provenienti da tutto il mondo con il medesimo tema: il gesto del fucile

una visitatrice cinese controlla sul suo smartphone la foto appena scattata all'opera sovrastante


All'arte contemporanea si rinfaccia spesso il suo essere commerciale, speculativa, il puntare ad altro piuttosto che ad una genuina espressione creativa. Viceversa, in genere l'espressività artistica dei secoli trascorsi è comunemente più considerata arte 'vera' e spassionata. Se così fosse, allora il messaggio artistico dovrebbe prevalere su tutto e diffondersi il più possibile. Paradossalmente però, un Picasso o una Frida Khalo sono tendenzialmente omessi alla libera riproduzione, mentre un AiWeiWei si può tranquillamente fotografare e condividere, senza che nessuna guida o sorvegliante venga a richiamarci.

Il secondo indizio ci portava a squalificare AiWeiWei dal ruolo di artsta perchè non realizza in proprio le opere, tranne poche eccezioni. Ma allora dovremmo considerare artista solo il Giotto degli affreschi, quelli degli Scrovegni o di Assisi, e non anche quello che disegna il campanile del Duomo di Firenze lasciando ad altri l'onere di erigere i blocchi di marmo uno sull'altro? E il Brunelleschi della cupola, come lo consideriamo? O il Leonbattista Alberti di Santa Maria Novella?

Questioni da salotto o di lana caprina, si potrà obiettare: tanto più che questa disquisizione ci allontana dal vero succo di un'esposizione come quella di AiWeiWei. Che ha provocato il ben poco democratico stato cinese puntando il dito – e l'estro – contro la scelta di costruire scuole con materiali scadenti franate sopra migliaia di bambini nel 2009 (it sounds italian too, indeed..). Che ha volutamente – e mediaticamente – scioccato i perbenisti italiani costellando la rinascimentale facciata di palazzo Strozzi con i gommoni, ad evocare l'infiltrazione dei profughi nel nostro benessere. E alla fine il dubbio più forte è questo: vale la pena, questa mostra? Ha un senso pagare tra i 4 e 12 euro (più altri 9, in caso di visita guidata) per visitarla e 'sensibilizzarsi', quando quei 12 euro sono 5 volte la somma che un richiedente asilo ha a disposizione ogni giorno, durante il suo limbo in Italia?

la facciata di Palazzo Strozzi 'gommonata' da AiWeiWei

Da un punto di vista economico e pragmatico: no. Meglio devolverli direttamente a loro, trovando la forma congrua.
Ma è vero anche che quello che ci sta accadendo intorno non richiede solo risposte di cassa. Richiede anche cambiamenti di pensiero. Perché probabilmente senza quelli la sola 'cassa', che sia diretta o tramite gli sms solidali, prima o poi potrebbe non bastare. E allora anche l'arte, continua ad aver senso. Anche quella d AiWeiWei: perchè anche quella è arte, no?

Uscendo da palazzo Strozzi, pochi passi dopo ci troviamo di fronte Santa Maria del Fiore con il suo campanile, quello di Giotto. E il dubbio ricompare.



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